Lezioni di Cioccolato: quando il cioccolato incontra il vino

Perugia e Perugina

Dalla lungimiranza, dalla sagacia, dalla visione e dalle idee rivoluzionarie e moderne di Luisa Spagnoli nacque la Perugina nel 1907 da un piccolo laboratorio nel Centro di Perugia rilevando insieme al marito Annibale Spagnoli una drogheria e dando l’inizio ad una nuova idea di intendere e trasformare il cacao e il cioccolato: a Perugia, ricca di piccole botteghe, si diffusero attività industriali che ampliarono il mercato del cioccolato e soprattutto la fama di Perugia. 

La celebre creazione a base di granella di nocciola, gianduia e copertura di cioccolata fondente, grande intuizione di Luisa Spagnoli oltre un secolo fa e ancora oggi cavallo di battaglia di Casa Perugina, in origine aveva la forma e il nome di un pugno o meglio di un “cazzotto”. Un nome che fu poi cambiato da Giovanni Buitoni nel 1924 nel famoso Bacio Perugina”.

Le origini

La coltivazione, la diffusione, la commercializzazione e di conseguenza l’uso caleidoscopico del cioccolato o del cacao è relativamente recente.

Siamo tra il XVI e il V secolo a.C, nella penisola dello Yucatan, quando le scimmie cominciarono a nutrirsi del frutto del cacao, la cabossa, mangiando la polpa e gettando via i semini (quelli che oggi sono conosciute come fave di cacao) e contribuendo alla diffusione delle piante di cacao. Ed è proprio imitando le scimmie che i Maya si avvicinarono al “frutto degli dei” a partire dal V secolo a.C e diffondendo la coltivazione.

Si narra che tutta la popolazione masomaericana considerasse il cacao un dono divino: legato pertanto a celebrazioni importanti e riti sacri. Cionondimeno, i Maya ne avevano carpito le proprietà nutritive e le potenzialità racchiuse nel frutto: si credeva, infatti, che il cacao fosse un ricostituente sessuale e pertanto veniva donato alla sposa durante il rituale del matrimonio.
Frutto divino, pietanza per i rituali e ancora moneta di scambio, il cacao diviene per la popolazione Maya parte integrante della quotidianità.

La lavorazione moderna del cacao per ottenere il cioccolato è in realtà risalente ai Maya, con piccole modifiche, tagli diversi, tecniche nuove ma in sostanza sono stati i Maya ad insegnarci come trasformare dei semi avvolti da un sostanza bianca e filamentosa nel cioccolato moderno: il frutto (la cabossa) veniva aperta lasciando a fermentare i semi (le fave) al sole; dopo seguiva la tostatura e la macinatura con un matterello che rompeva la fava facendo fuoriuscire il burro di cacao (la parte grassa del frutto) alle quali venivano aggiunti aromi e farina di mais dando origine alla massa di cacao. Venivano poi conservati per essiccazione in panetti e consumati con l’aggiunta di acqua calda, filtrata e bevuta fredda come bevanda di fine pasto e chiamata dagli Aztechi “tciocoatl”, mentre la pianta di cacao “cacahuatl”.

Ogni volta dico a me stesso che è l’ultima volta, ma poi sento il profumo della sua cioccolata calda… Le conchiglie di cioccolato! Così piccole, così semplici, così innocenti. Pensai: oh, solo un piccolo assaggio non può far niente di male! Ma poi scoprii che erano ripiene di ricco, peccaminoso…” “…E si scioglie… Dio mi perdoni, si scioglie così lentamente sulla lingua e ti riempie di piacere!…”- dal film Chocolat

ChocoPills: cioccolato e filosofia
“Il cioccolato era particolarmente apprezzato dagli illuministi. Voltaire ne consumava numerose tazze al giorno, trovando il cioccolato molto utile alla speculazione filosofica: a differenza dell’alcol che annebbiava le capacità cognitive, il cioccolato le sollecita”- Luca Fiorucci, giornalista

Ma noi non ascoltiamo Voltaire e consigliamo il cioccolato con il vino!

Con il cioccolato abbiamo sensazioni organolettiche come la succulenza (salivazione all’assaggio), la tendenza amarognola (legata alla % di cacao del cioccolato che ricordiamo avere i tannini come il vino), la grassezza (legata al burro di cacao e al latte), la struttura, l’aromaticità, l’intensità, la dolcezza e la persistenza. A seconda delle proprietà organolettiche del cioccolato, potremo abbinare il vino che meglio si sposa e si abbina. Per la succulenza, per esempio, cercheremo un vino con alcol e tannini. Per la tendenza amarognola, alcol e morbidezza. Per la grassezza un vino sapido.

Un focus su Dante e l’Olio umbro

Dedichiamo uno spazio a Dante e all’Olio umbro attraverso il libro “Conversazioni dantesche. Olio dell’Umbria: cosa resta del Medioevo dantesco nell’Umbria enogastronomica” scritto e curato da Diego Diomedi, formatore e docente nel settore enogastronomico ed altri scrittori e giornalisti che hanno partecipato alla stesura del testo.

In particolare l’autore, Diego Diomedi, sottolinea come il suo interesse e la sua passione per l’enogastronomia nascano da una profonda curiosità sulle origini e le tradizioni agroalimentari italiane, con particolare riferimento al Medioevo e soprattutto all’approccio Dantesco alla cucina italiana con un focus sull’olivo e sull’olio umbro. 

il libro nasce dall’esigenza, a partire dalla rievocazione storica di San Gemini, di dedicare questa grande festa che dura 2 settimane al Sommo Poeta. Nel testo vengono trattate diverse tematiche”- ci racconta Diego

DANTE E L’ULIVO
L’olio e dunque l’olivo è profondamente radicato nella nostra tradizione e nella nostra cultura.Trova origini nell’età classica e utilizzi già in epoca romana e poi medievale. All’interno della Divina Commedia i riferimenti al cibo o tutto ciò che riguarda l’alimentazione viene trattato non dal punto di vista materiale e dunque nutritivo ma puramente spirituale e religioso.
Durante la scrittura della Divina Commedia Dante Alighieri dà molta importanza alla pianta dell’olivo citandola ben due volte come elemento ricco di simbolismo religioso: la stessa Beatrice si presenta a Dante con la corona di ulivo: «sovra candido vel cinta d’ulivo/donna m’appar- ve sotto verde manto» (vv. 31-32, XXX canto del Purgatorio)

Il fil rouge di questo libro è quello di parlare di Dante attraverso l’enogastronomia immersa nel centro Italia con il collegamento all’ Umbria che fa da ponte, come un flusso di pensiero, di radici e tradizioni.

NEL DOPOGUERRA
“L’olio è radicato nella nostra cultura ma è anche un prodotto riservato a pochi fino alla seconda guerra mondiale. Borghese, infatti, l’invenzione di possedere un uliveto in quanto alla classe povera era riservato lo strutto e il burro. È solo nel secondo dopoguerra che il consumo di olio conosce modificazioni. Questa impennata dei consumi per l’Umbria non significò una trasformazione repentina dei caratteri del mercato. Tuttavia il prodotto comincia ad avere spazi più ampi favoriti anche dalle maggiori produzioni realizzate nei decenni precedenti.”- spiega il Prof. Renato Covino, aggiungendo poi che “la natura pedologica dei terreni collinari umbri, spesso fliscioidi (ad alto contenuto di calcare) porta alla diffusione fino a tempi recenti del Moraiolo, che produce pochi chili per pianta e quindi meno olio, e a una collocazione geografica soprattutto intorno al bacino del Trasimeno, che garantiva un effetto di temperazione del clima, e lungo le colline che cingono la Valle Umbra (da Assisi a Spoleto). La presenza nelle colture promiscue, dove affianca o sostituisce la vite e convive con i cereali, ne fa una produzione destinata a un uso sostanzialmente domestico, che diviene parte dell’economia di sussistenza dei mezzadri e di e di consumo dei padroni della terra”.

L’UMBRIA CUORE VERDE D’ITALIA
Ivo Picchiarelli sottolinea come “nella percezione dell’immaginario dell’Umbria è balzato di recente in evidenza il grigio-verde degli ulivi, in particolare quello della fascia olivata pedemontana che, ininterrotto, da Assisi a Spoleto si affaccia sulla Valle Spoletana. A ciò hanno contribuito vari fattori. Anche la Regione della verde Umbria sembra aver eletto questo colore a proprio emblema”.

L’OLIO E MODERNITA’
Alessandro Giotti parla del rapporto tra modernità, tradizione e innovazione anche nel campo dell’olivicoltura e di come l’avanzare della tecnologia abbia effettivamente cambiato anche i metodi di produzione di “oliveti storici e varietà antiche” e la concetto di olio in termini di consumo e utilizzo in ambito culinario e non solo, e in particolare spiega che “oggigiorno la tecnologia consente di avere frantoi a due fasi tecnologicamente molto avanzati e di piccole omedie dimensioni in grado di produrre altissima qualità. Si stanno diffondendo pertanto molti frantoi che nascono spesso nel cuore del luogo di produzione delle olive rendendo il processo di trasformazione molto efficiente e veloce. Questi frantoi, avendo dimensioni più ridotte, consentono inoltre di gestire anche partite più piccole facilitando, per esempio, lavorazioni di precisione, essenziali per la produzione dei monovarietali. Questi ultimi cominciano a diventare sempre più diffusi consentono di offrire a chi è o sarà in grado di apprezzare l’incredibile biodiversità che possediamo.Basti pensare nella nostra Umbria alla Nostrale di Rigali, alla Borgiona, alla Dolce Agogia al Raio, per non parlare poi del principe di tutte le cultivar umbre e toscane, il Moraiolo.
La volontà è di dare nuova vita a luoghi incantevoli dell’Umbria valorizzando territorio e qualità produttiva e diventando vera meta per chi è alla ricerca di esperienze e prodotti di qualità”.